L’evoluzione della società moderna ha portato a importanti cambiamenti per quanto riguarda la percezione delle donne nel mondo professionale.
Le donne devono affrontare tante sfide nel mondo del lavoro, ma alcune sono sfide sottili e complesse, come la questione linguistica.
Le professioni declinate al femminile appartengono a una questione linguistica o a un discorso molto più ampio culturale e sociale?
Le parole portano addosso un potere che ha un grande peso; usate come aggettivi associati alle donne hanno, ad esempio, un significato diverso rispetto alla stessa parola associata a un uomo, come diceva Paola Cortellesi nel monologo del 2018 durante il David di Donatello.
Le parole hanno un enorme impatto sulla percezione di una persona.
Nella nostra società, e di conseguenza nella nostra lingua e nel nostro linguaggio, esistono stereotipi di genere che influenzano il ruolo della donna nel mondo del lavoro.
Oggi si parla dell’introduzione dei femminili nelle professioni e nei ruoli, non solo come rivendicazione di genere e di un’identità professionale che sia paritaria a quella maschile, ma anche come conseguenza dell’aumento della presenza femminile nelle posizioni lavorative prima assenti o scarse.
È solo una questione linguistica?
Nella nostra lingua non esiste il genere neutro e un mestiere femminile non per forza deve finire con la “a”. L’assessora e l’avvocata sembrano una presa in giro in alcuni casi, forse alcuni hanno questo intento, quello di deridere le donne che ricoprono quel ruolo, ma sta a noi farli diventare vocaboli di uso abituale come i termini stranieri che sono entrati prepotentemente nella nostra lingua a cui non facciamo più neanche caso.
Dobbiamo normalizzare il femminile professionale a oggi considerato strano e insolito nella lingua italiana. Rispetto ad altre lingue, nella nostra, il neutro non esiste, o esiste in pochi casi professionali, tipo geometra, quindi i paragoni con l’inglese non possono sussistere.
Cosa penso io del femminile professionale?
Secondo il mio parere, in termini di uguaglianza di genere, ci sono tantissimi altri problemi che voler per forza ricorrere al femminile professionale lo vedo non prioritario ma sicuramente un tema importante. Se mi dovessero chiamare imprenditore o imprenditrice per me sarebbe uguale, ciò che voglio dimostrare sono le mie competenze e le mie capacità di leadership. D’altra parte, trovo che criticare i femminili professionali sia ugualmente inutile, basterebbe conoscere la lingua italiana e non aver sempre timore del cambiamento.
Dobbiamo conseguire la parità rispettando la differenza tra uomini e donne che c’è sempre stata e che è fonte di arricchimento. Dobbiamo combattere noi donne per ridurre il gender gap salariale e pretendere di essere pagate quanto gli uomini a parità di livello e mansione.
La questione linguistica oggi rappresenta il disagio socioculturale in cui viviamo dove la scelta delle parole rappresenta indifferenza per alcune persone, mentre per altre fastidio. A mio avviso dobbiamo lavorare verso una comunicazione più inclusiva utilizzando un linguaggio gentile e il più aperto possibile per creare un ambiente giusto e paritario.
Il femminile professionale è molto di più di una questione linguistica, ma il linguaggio svolge un ruolo fondamentale nel mondo del lavoro per quanto riguarda le donne. È necessario creare un mondo del lavoro dove ci sia una cultura aziendale volta al cambiamento.
Il mio contenuto vuole semplicemente far riflettere sull’argomento di cui tanto si parla oggi, a me interessa essere considerata come donna nel mondo del lavoro e come professionista capace di generare valore.
Non mi disturba essere chiamata imprenditore per un vizio culturale, ma so di essere un’imprenditrice con una testa pensante, con un cuore e un cervello volti al cambiamento culturale.
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