La mia azienda Dami è un’impresa al femminile, dove al vertice ci sono le donne. Ma cosa significa davvero parlare di “impresa femminile”?
È una domanda che mi viene posta spesso, nei miei incontri in giro per l’Italia, in aula durante le formazioni o in occasione di eventi istituzionali. Ed è una domanda tutt’altro che banale perché contiene un ‘etichetta, “femminile”, dove si nascondono non solo numeri e percentuali, ma anche stereotipi, pregiudizi, battaglie culturali, ostacoli e tanta determinazione.
Come viene definita femminile un’impresa?
Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, un’impresa è considerata “femminile” quando la maggioranza delle quote societarie è detenuta da donne oppure quando l’organo amministrativo è composto per almeno il 51% da donne. Nelle imprese individuali, ovviamente, è sufficiente che la titolare sia una donna.
Ma questa definizione, anche se necessaria per inquadrare strumenti di agevolazione o politiche di sostegno, è davvero sufficiente a cogliere la complessità di cosa significhi “fare impresa al femminile”? Io credo di no, perché non basta che un’impresa abbia una proprietà rosa per essere davvero femminile nel senso più pieno del termine. C’è molto di più, c’è un approccio alla leadership, c’è un modello organizzativo, c’è un modo di presentarsi al mercato, di gestire il personale, di vivere il territorio. C’è un modo diverso di pensare il potere, c’è un cambiamento vero e proprio.
Replicare modelli maschili?
Quando una donna fonda o guida un’azienda, spesso non si limita a replicare modelli maschili già esistenti, ma porta con sé una sua cultura, una sua leadership a volte perfino emozionale, che contribuisce a ridefinire cosa significhi veramente “impresa”.
Le donne, per come la nostra società le ha educate, sono spesso abituate a gestire complessità, a tenere insieme il fare e il prendersi cura, il risultato e la relazione. E quando queste esperienze entrano nell’impresa, si traducono in pratiche che mettono al centro il benessere organizzativo, le persone, l’equilibrio vita-lavoro, la sostenibilità, l’inclusione.
Anche se non tutte le imprese femminili lo fanno, comunque un’impresa è “femminile” non solo per chi la possiede, ma per i valori che incarna e le modalità con cui opera.
Qualche dato sulle imprese femminili
In Italia, secondo gli ultimi dati di Unioncamere, le imprese femminili rappresentano circa il 22% del totale, una su cinque. La maggior parte si concentra nel settore dei servizi, del commercio e dell’agricoltura, poche sono ancora le aziende femminili nel manifatturiero, nell’industria o nei settori tecnologici, e questo non è un caso, ma l’effetto di una lunga storia di esclusione, di accesso limitato alle risorse, di una cultura che ancora troppo spesso fatica a vedere la donna come leader d’impresa in settori ancora considerati maschili.
Per molte donne, aprire un’azienda non è solo una scelta di crescita o di ambizione, ma anche una risposta concreta alla mancanza di opportunità di carriera nel lavoro dipendente, o un modo per sentirsi libere e sullo stesso piano degli uomini.
Impresa femminile: quanti stereotipi?
Un altro aspetto che voglio affrontare è quello degli stereotipi dove l’impresa femminile è spesso raccontata come “piccola”, “familiare”, “resiliente”. Sono aggettivi che sembrano positivi, e in parte lo sono, ma che a volte rischiano di diventare gabbie, come se alle donne fosse concesso di “resistere”, ma non di eccellere, come se ci fosse qualcosa che impedisce loro di essere ambiziose, competitive, leader globali.
Ecco perché è fondamentale non solo parlare di imprese femminili, ma anche e soprattutto farle parlare e fargli raccontare le storie, valorizzare i percorsi, dare loro spazio e voce nei luoghi dove si prendono le decisioni.
Le donne non sono una categoria “debole”, sono una forza che può innovare profondamente il nostro sistema produttivo e sociale.
Se dovessi rispondere alla domanda “quando un’impresa è femminile?”, risponderei in questo modo: quando è guidata da una donna e riesce a portare dentro l’economia un’idea diversa di potere, di relazione, di impatto sociale e una leadership umanocentrica, quando non si limita a produrre beni o servizi, ma costruisce valore, senso, comunità, cura.
Questa domanda non è solo per donne ma anche per gli uomini perché il sistema imprenditoriale deve essere più equo, più inclusivo, più attento al benessere delle persone, più giusto ma anche più forte, più innovativo, più capace di durare nel tempo. Dobbiamo imparare a guardare all’impresa femminile non come ad una nicchia da proteggere, come qualcosa di eccezionale ma come a un laboratorio da cui imparare perché dentro quelle aziende, dentro quei processi e dentro qui percorsi spesso ostacolati ma pieni di vita, c’è una parte del futuro che vogliamo costruire insieme.
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