Maternità e lavoro: come si concilia?
Scritto da Elisabetta Pieragostini
Ogni volta che si parla di maternità e lavoro a me viene la stessa domanda: il figlio lo abbiamo fatto in due o ricordo male? Eppure sembrava essere stata un’esperienza piacevole per entrambi.
Non si parla mai di paternità. È solo nostro il problema? Finita tutta la parte divertente il papà smette di prendersi la responsabilità della condivisione della crescita di ‘sti bimbi e noi donne dobbiamo rinunciare a coltivarci come esseri umani?
Ragazzi, davvero, questo discorso mi manda ai pazzi ogni volta.
Sarà perché io il mio lavoro volevo mantenerlo, sarà perché credo nell’autodeterminazione di ciascuno di noi, sarà perché voglio che Matilde e Viola imparino che ci si può affermare anche se si sceglie di diventare madri, ma io non ci sto più al fatto che le donne debbano smettere di esistere se desiderano avere dei figli.
Perché è proprio di CESSATA ESISTENZA che si parla.
Come una cessata attività. Oggi c’è, domani va in fallimento.
E prima le nausee, poi l’ingombro fisico e ti devi sorbire tutti gli sfottò sui chili presi, gli sbalzi ormonali, un giorno piangi, l’altro pure ma nel frattempo ridi mentre mangi crackers spalmati di Nutella. Ti guardi e non ti riconosci più. Sai che quel corpo sta custodendo il miracolo della vita, ma non sempre tutto ti sta bene.
Nato il pargolo, dopo i primi mesi che ti spettano di maternità, iniziano a piovere dal cielo, e non come manna benedetta ma solo come rottura di scatole, tutte quelle domandine tipo “Ma tornerai in ufficio?”, “Non avresti voglia di goderti ancora un po’ questo fagottino profumato? Guarda che poi questi giorni non torneranno più e li rimpiangerai!”.
E pensare che io credevo che si mettessero al mondo figli per illuminare il mondo e per aiutarli a diventare uomini e donne, non per farli rimanere a vita dei piccoli cagaroni.
Io volevo tornare a lavorare.
Non pensate anche voi sia giusto che entrambi i genitori si prendano la responsabilità della crescita e della gestione pratica della vita familiare?
Io si, ma confrontiamoci.
Ok. Torniamo alla domanda iniziale e vediamo di rispondere
La mia esperienza di mamma imprenditrice mi ha portato a questa riflessione: non volevo scegliere se prendermi cura delle mie figlie o continuare ad affermarmi nel mio lavoro, con tutte le responsabilità annesse e connesse, sia nel primo che nel secondo caso.
Non volevo scegliere da che parte stare, e nessuna di noi lo dovrebbe fare.
So che la vita non è uguale per tutti e che, spesso, benché arde in noi lo spirito della parità, dobbiamo sottostare a delle esigenze pratiche, ma se non iniziamo noi a cambiare le cose e, vorrei sottolinearlo, a scegliere meglio gli uomini con cui decidiamo di procreare, le cose non cambieranno.
Io sono stata e sono fortunata, lo so, e ringrazio ogni giorno per questo. Ma è anche vero che ho determinato la mia vita perché volevo continuare a essere donna, professionista e anche mamma. Che esempio avrei potuto dare altrimenti alle mie figlie?
Anche per questo oggi sono qui a scrivere. Per autodeterminarmi.
La buona notizia è che ho capito che conciliazione casa-lavoro è possibile, tenendo fermi dei punti però:
- Condividere la vita con una persona intelligente e che non ti tratta da schiava;
- Imparare a delegare e a farsi aiutare;
- Scendere dal nostro piedistallo e non pensare di essere le uniche brave anche a cambiare un pannolino;
- Abbandonare l’ideale di perfezione materna, femminile e professionale. Per poter imparare a far tutto dobbiamo scendere a patti col compromesso di commettere errori e di non essere infallibili.
Siete pronte a rivedere la vostra vita in questa chiave?
Per il primo punto la scelta è determinante: se facciamo un figlio con l’uomo delle caverne, prima o poi ne pagheremo le conseguenze. Il papà dovrà essere consapevole che fortunatamente anche da noi in Italia le cose si stanno smuovendo e che potrà chiedere quel minimo di paternità che gli spetta di diritto, eventuali congedi parentali e che la cacca di un neonato, per quanto puzzi, non è radioattiva.
Per quanto riguarda invece il secondo punto, urge un grande lavoro di introspezione per capire che farsi aiutare è umano se non fondamentale. Fare le super donne ci porterà solo a una bella crisi di nervi e io non smetterò mai di ringraziare mia mamma per l’aiuto che mi ha dato. Certo, avrò avuto delle mancanze in entrambi i fronti, lavorativo e casalingo, ma con l’organizzazione e la voglia di essere combattivi come Vaiana di Oceania, con il gioco di squadra sono riuscita a conciliare tutto assumendo il ruolo di capo e dettando le regole.
Il terzo e il quarto punto vanno a braccetto col secondo: siamo esseri umani e, proprio per questo, imperfetti. Per trovare una quadra tra casa e lavoro, maternità e professione, serve imparare a essere anche imperfette.
I ruoli all’interno della famiglia
Una volta i compiti all’interno di una famiglia erano chiari, la donna si prendeva cura dei figli e il marito lavorava per mantenere la sua famiglia. Visione che pone la donna su un piano di inferiorità. Per fortuna questa cosa è cambiata e le donne hanno iniziato a riprendersi il loro ruolo per essere più libere e indipendenti.
Oggi vogliamo tutte avere il ruolo di madre e prenderci cura dei nostri figli, educandoli e mettendo le basi per una profonda relazione, ma allo stesso tempo vogliamo avere la possibilità di lavorare e fare quello per cui abbiamo studiato o faticato negli anni con dure gavette, guarda caso proprio mentre cresciamo dal punto di vista professionale arriva lui o lei a dirci ci siamo anche noi.
Allora proporrei a tutti i futuri genitori un quesito fondamentale: avere figli è una questione personale o collettiva?
I figli sono il futuro del mondo, quindi una questione collettiva, ma in realtà chi li cresce sono i genitori a loro spese.
Credo che un Paese che abbia a cuore il rinnovo generazionale e la possibilità che si facciano più bambini debba investire in strutture e aiuti da parte dello Stato che consentano ai genitori di avere il tempo di coltivare la loro professione. Nel frattempo, di più nonne e zie che ci aiutino in questa conciliazione.
Io possono solo darvi un consiglio, che forse è più una speranza: impariamo più spesso a usare la parola genitori invece che mamma quando si tratta di crescere dei figli.
E nel frattempo, mamme, tiriamo fuori la nostra Merida forte e coraggiosa ma dolce quando serve e andiamo avanti per raggiungere i nostri obiettivi: conciliare maternità e lavoro si può e si deve fare.
In bocca al lupo a tutti e sempre coraggio.
Scritto da Elisabetta Pieragostini
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