Sindrome di Wendy: crocerossine del mondo venite a me
Scritto da Elisabetta Pieragostini
Nella favola di Peter Pan, Wendy è la bambina che si prende cura dei suoi fratelli, che soddisfa i loro bisogni e quelli dello stesso Peter Pan. Lei è sempre indaffarata a cucire mentre gli altri giocano divertendosi, Wendy è lì ad aspettare che gli altri siano tutti felici e appagati. Wendy lavora per il benessere degli altri. Ma il suo di benessere?
Ascoltando le confidenze delle amiche, leggendo qua e là e osservando ormai da un po’ di anni il mondo e le dinamiche sentimentali, non posso non prendere atto di una palese realtà dei fatti: molte persone, donne soprattutto, per questioni storiche e ataviche, si prendono cura degli altri, spesso del partner, perdendo di vista il proprio benessere. Nei casi peggiori addirittura la propria identità.
Cosa succede? Ci si fa carico dei problemi altrui risolvendoli e cercando di risolvere tutte le situazioni come una vera salvatrice. La paladina dei cazzi e mazzi, la tuttofare delle crisi esistenziali, la spugna che assorbe ogni problema e lo restituisce ben lavato e strizzato, profumato anche di lavanda o brezza di primavera.
Una situazione molto più che comune nota come Sindrome di Wendy o della crocerossina. Ma attenzione, non è altruismo questo continuo intervenire per aiutare gli altri, anzi, tutt’altro, crea malessere e dipendenza affettiva.
Sindrome di Wendy: dove si nasconde nella mente
Come in ogni analisi introspettiva che si rispetti dobbiamo fare un viaggio a ritroso nella nostra infanzia e fare i conti con le incrostazioni di calcare emotivo. Sicuramente esplorare il periodo dell’infanzia e il rapporto che abbiamo avuto con i nostri genitori è un passaggio da affrontare. Non parliamo di rapporti genitori-figli drammatici, magari si tratta di sfumature che non cogliamo a occhio nudo. Potrebbe essere che una delle due figure o entrambe siano venute a mancare o che ci abbiano instillato un forte senso di responsabilità.
La Sindrome di Wendy può covare anche in coloro che sono stati protetti, molto protetti, e resi insicuri e dipendenti e che quindi si sentono forti e utili solo quando aiutano gli altri.
In tutti i casi si svela una diagnosi comune: poca autostima. E i comportamenti sono praticamente simili: aiutare gli altri e risolvere i loro problemi crea un’aspettativa di gratitudine e riconoscenza che fa sentire la crocerossina appagata a breve termine.
Ma anche svuotata, perché a lungo termine entra in un loop di dipendenza dal soggetto problematico.
Anche io spesso sono inciampata nella sindrome da crocerossina, ma se analizzo le cause nessuna fondamentalmente mi appartiene, se non un forte senso di responsabilità, che ritrovo anche nel mio lavoro in azienda e che genera spesso grandi sbattimenti. E una particolare bontà d’animo, voglio sperare.
Mi è successo anche con i partner in passato e di certo essere cresciuta guardando Candy Candy non mi ha aiutato. Ma fortunatamente nel mio caso non si trattava di una condizione patologica. Mi è bastato imparare i rudimenti dell’arte del fanculo. Diciamo così.
Come riconoscere i primi sintomi della Sindrome di Wendy?
Care amiche, ma anche amici, sì, perché la Sindrome di Wendy può colpire anche una certa percentuale maschile, qui veniamo alla pratica. Almeno quella che basta per capire che bisogna necessariamente affidarsi o consigliare a qualcuno di affidarsi a un esperto per un percorso di terapia e analisi.
Il primo sintomo da non sottovalutare è certamente quello di rendersi conto di trovarsi in una situazione di aiuto compulsivo, se così si può dire. Nessuno di noi ha il potere di salvare l’umanità e quando ci accorgiamo di dipendere dall’aiuto che diamo in una relazione vuol dire che ci sono tutti i primi segnali della crocerossina. Parliamo di tutti quegli aiuti dati mettendo sempre da parte noi stesse, di quelle situazioni in cui ogni problema dell’altro diventa nostro e lo assorbiamo così tanto da annullarci.
La ricerca di approvazione
Il secondo sintomo che deve mettere in allarme è la costante ricerca di approvazione: se facciamo star bene il partner allora otterremo il suo consenso.
Spesso può nascondersi in tutto questo la paura di rimanere soli e così si annullano la propria personalità e i propri desideri perché temiamo la solitudine e l’abbandono.
Sacrificarsi per far star bene l’altro annullando e soffocando i propri desideri. Generazioni di donne, soprattutto, ne sono state vittime.
Il partner Peter Pan
E veniamo a un’altra nota super super dolente: il partner Peter Pan.
Chi è stretto nella morsa della Sindrome di Wendy ricerca spesso i partner Peter Pan, spensierati e immaturi, con il rifiuto di crescere e diventare adulti. Così arriva Wendy che si assume tutte le responsabilità e solleva il Peter Pan da tutte le incombenze e le problematiche. Queste relazioni non sono destinate a durare perché appena Peter Pan sente puzza di relazione stabile scappa e lascia Wendy ad affrontare ciò che più la spaventa, l’abbandono.
Spesso queste persone vivono dei rapporti tossici di cui sarebbe bene liberarsi subito. Ma come? Lavorando sulla propria autostima, imparando a credere in sé stessi e a prendersi cura di sé.
Migliorare la comunicazione con assertività iniziando a dire dei no fa parte del percorso di uscita da questa sindrome. Non è facile, lo so. Ma proprio per questo è fondamentale rivolgersi a un esperto che possa aiutare nel lavoro di scavo interiore e a guardare il mondo da un’altra prospettiva.
Una prospettiva che ci farà capire che esistono relazioni sane oltre quelle tossiche e che non è egoismo mettersi al primo posto. E che non è nemmeno altruismo risolvere i problemi di chi dovrebbe semplicemente amarci.
Scritto da Elisabetta Pieragostini
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