Un caffè con Federica Bosco tra le luci e le ombre dell’essere umani
Scritto da Elisabetta Pieragostini
Da quando ho iniziato a leggere i suoi libri non ho più smesso. Forse questo è il motivo principale che mi ha spinto a desiderare di avere Federica Bosco tra le ospiti di questo salotto virtuale. Dagli esordi più scanzonati di Mi piaci da morire ai tratti più consapevoli di Non dimenticarlo mai, il suo ultimo romanzo, la sua penna, come poche altre, ha saputo tracciare luci e ombre delle relazioni umane con cura e grazia.
Federica, ho letto il tuo ultimo libro “Non dimenticarlo mai”, ne sono stata letteralmente rapita. Come hai scelto questo titolo? A cosa ti sei ispirata?
Ho scritto “Non dimenticarlo mai” sul finire di un periodo molto doloroso e buio, fatto di bilanci, illusioni, delusioni e una tardiva consapevolezza che forse non sarei stata incapace come madre, la ragione credo, per cui non avevo mai avuto un istinto materno, che è poi comparso alla soglia dei cinquant’anni.
Quando ho scritto la storia di Giulia che cerca di avere un bambino tramite inseminazione artificiale insieme a un compagno che si rivela essere un uomo superficiale, deludente e manipolatore, avevo bisogno di parlare della forza delle donne che è straordinaria e data sempre per scontata. Volevo dare voce a tutte le guerriere silenziose che da sole si accollano trattamenti invasivi e insopportabili, per il puro desiderio di dare la vita, senza supporto, senza aiuto e spesso sole.
Il titolo è una frase che dico al mio gatto ogni sera, gatto che ho preso proprio per creare un legame intimo di cui avevo così bisogno e che avrei detto a un figlio se lo avessi avuto: La mamma ti ama, non dimenticarlo mai.
Leggendo i tuoi libri ma anche tanto di quello che racconti di te, torna spesso il tema del perdonarsi. Come si arriva a questa benevolenza nei propri confronti?
Forse non si arriva alla benevolenza, ma almeno al comprendere che abbiamo fatto quello che potevamo date le circostanze e le possibilità, anche se sono stati errori madornali, e questo concetto bisogna prima o poi riuscire a estenderlo a chi ci ha cresciuto che ha fatto quello che ha potuto, anche se era pochissimo, anche se era fatto male o anche se non ha fatto assolutamente niente. Se si prova a ripartire dal provare una certa tenerezza nei propri confronti e guardarsi con gli occhi amorevoli che ci sono mancati, prima o poi riusciamo a prenderci per mano.
Si fa realmente pace col proprio passato? Tornare a Firenze ha stirato alcune delle tue pieghe?
Non è mai troppo tardi per far pace con sé stessi e il proprio passato.
Il tempo trasforma molte cose, ci rende più schietti, più cauti, più disposti alla trattativa, ma soprattutto ci mette davanti alle cose e alle persone veramente importanti.
Riuscire a chiedere scusa e provare a far meglio richiede una certa dose di umiltà e di coraggio, ma ne vale sempre la pena.
Firenze è rimasta quella che avevo lasciato, tanto diversa da Milano e Roma dove adesso non sarei più stata capace di vivere, o meglio lo avrei fatto se fossi riuscita a piantare radici, ma non è stato il caso, così sono tornata a recuperare quelle che avevo.
È stato difficile scollarti l’etichetta della scrittrice chick lit soprattutto nei primi anni della tua produzione? Non che ci sia qualcosa di male, io ho appena pubblicato un romanzo che potrebbe essere definito rosa, ma mi pare che in Italia sia quasi denigratorio. Nei tuoi libri ho visto una moltitudine di colori, mica solo il rosa.
Fortunatamente nessuno sa esattamente cosa significhi “chick lit” e non mi sono mai nemmeno interessata di dover spiegare il contrario. Ho sempre scritto storie ironiche con una discreta percentuale di dolore e dramma, malattia, distacco, e almeno un morto a romanzo, ma so che poiché non uso uno stile drammatico e/o autolesionista, non posso essere considerata una scrittrice vera o seria, come tante altre mie colleghe. Personalmente ho smesso di preoccuparmene, continuo a scrivere quello che sento, nel momento della vita che mi rappresenta e nello stile in cui mi trovo comoda e che i miei lettori amano. E quello è il mio lavoro.
L’Italia è un paese immensamente retrogrado dal punto di vista sociale, non è un mistero, poi però i fenomeni di massa che vendono in maniera spaventosa vengono quasi sempre dai paesi anglosassoni e allora corriamo ai ripari per trovare l’equivalente italiano.
Sorrido sempre pensando se qualcuno avesse proposto in Italia qualcosa come Bridget Jones, Harry Potter o 50 sfumature, sono certa che avrebbero storto il naso dicendo, “troppo banale”, “i maghi non funzionano”, “il sesso è tabù”, allora difronte ai soldi, le etichette crollano…
Parliamo tanto di parità di genere: quanto divario c’è ancora oggi nell’editoria italiana?
Nell’editoria come in tutti gli altri campi siamo sempre con un piede nel Medio Evo. Qualcosa si è mosso, ma la sensazione è sempre quella del dare il “contentino”, le “quote rosa” e che i giochi dei grandi siano sempre in stanze separate rigorosamente fra uomini .Alla fine si sa che una donna scrive “romanzetti” e un uomo “capolavori” o “romanzi di formazione”
Per concludere ti farò delle domande veloci. Pronta?
- Il tuo libro preferito: Il mago di Oz;
- Un cantante che adori: Bruce Springsteen;
- Un luogo che ti assomiglia: la Versilia;
- L’animale che vorresti essere: il mio gatto!
- Il tuo cibo preferito: pizza funghi e cipolle;
- Un consiglio alle donne: mangiate quella fetta di torta;
- Un grazie a…: mi stava venendo la battuta. Un grazie al mio psicologo.
Scritto da Elisabetta Pieragostini
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